mercoledì 29 ottobre 2014

Ebola, le indicazioni Oms per la prevenzione e il controllo dell'infezione

Molte aziende sanitarie  in questi giorni  hanno programmato  simulazioni per verificare la corretta applicazione delle istruzioni operative da parte degli operatori.


IPASVI OMS virus Ebola

lunedì 20 ottobre 2014

Assessorato della Salute MALATTIA DA VIRUS EBOLA

Sul Sito dell'Assessorato della Salute è finalmente disponibile la documentazione ufficiale per la malattia da virus Ebola.
Malattia da virus Ebola

venerdì 17 ottobre 2014

Ebola: "Protocollo centrale per la gestione dei casi e dei contatti sul territorio nazionale”

E'disponibile e in aggiornamento continuo, all'indirizzo web del Ministero della Salute:
http://www.cureprimarie-ulss21.it/pressarea.asp?mode=nws&detail=5896&title=ebola!--ministero-salute- il "Protocollo centrale per la gestione dei casi e dei contatti sul territorio nazionale”
(...) Tale protocollo prevede la gestione del caso S/P/C a livello centrale, con il coinvolgimento delle Regioni e, ove necessario, delle altre Amministrazioni dello Stato e/o Enti privati, e l’eventuale trasferimento in modalità protetta presso uno dei Centri Nazionali di Riferimento per la gestione clinica del paziente (INMI “Lazzaro Spallanzani” di Roma e Azienda Ospedaliera “L. Sacco” di Milano), con modalità che saranno valutate di volta in volta, in stretto coordinamento con il Ministero della Salute.(...).

Infezioni da taglio in ospedale

Per risolvere il problema della sicurezza degli operatori sanitari in ambiente di lavoro sono state intraprese numerose iniziative, sia a livello nazionale che internazionale. Ma qual è veramente l’entità di questo problema in Italia, e chi riguarda? Abbiamo chiesto a Vincenzo Purodi illustrarci anche qualche dato riguardo l’epidemiologia delle infezioni sul lavoro nel nostro paese.   Quanti sono, secondo le stime, i casi di operatori sanitari esposti al rischio di infezione sul lavoro?  Non esistono in realtà dati nazionali  ufficiali,  quali potrebbero essere quelli di fonte INAIL. Un’indagine condotta dalla Associazione Italiana dei Responsabili dei Servizi Prevenzione e Protezione in ambito sanitario (AIRESPSA) ha evidenziato che le esposizioni a rischio biologico negli operatori sanitari sono molto frequenti e  rappresentano circa il 40% di tutti gli infortuni segnalati. I dati maggiormente rappresentativi della situazione italiana derivano dallo Studio Italiano sul Rischio Occupazionale da HIV (SIROH, dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani”). I dati accumulati in questi  anni  hanno consentito di avere una profonda conoscenza scientifica non solo della frequenza, delle cause e delle modalità che conducono all’esposizione occupazionale, o del rischio di contrarre un’infezione,  ma anche delle misure di prevenzione attuabili.  Il 75%  delle esposizioni sono di tipo percutaneo: causate, cioè,  da punture accidentali provocate da aghi, o da altri dispositivi taglienti, contaminati con sangue. Il rimanente 25% è costituito da esposizioni mucocutanee, cioè dal contatto accidentale  di materiale biologico potenzialmente infetto  con le mucose o con la cute non integra dell’operatore (ad esempio uno schizzo di sangue negli occhi o sulle labbra).   Quanti di questi si traducono in infezione? Per quanto riguarda il rischio di contrarre un’infezione è necessario ricordare che gli operatori sanitari sono esposti a numerosi agenti patogeni e l’elenco dei casi di infezioni occupazionali riportati comprende la maggior parte dei microrganismi conosciuti e di quelli emergenti. Il pericolo è diffuso in tutte le fasi di assistenza ai pazienti e/o manipolazione di materiali biologici. Le precauzioni standard, in precedenza note come precauzioni universali, indicano le misure di prevenzione di base da applicare con tutti i pazienti e i loro materiali biologici tra le quali spiccano l’igiene delle mani, i mezzi di protezione individuali e una attenta manipolazione degli aghi e altri taglienti. Le esposizioni percutanee rappresentano un evento estremamente frequente nelle strutture sanitarie; fra i molti patogeni trasmissibili per via ematica acquisiti attraverso tale modalità quelli più rilevanti sono HIV, e i virus dell’epatite B ( HBV) e C  (HCV). Di questi HBV  è l’unico per il quale sia disponibile un vaccino altamente efficace e sicur; la copertura della vaccinazione negli operatori sanitari non è però ancora ottimale. Per l’HIV e l’HCV, la probabilità di contagio a seguito di un singolo infortunio, quale la puntura con un ago utilizzato su un paziente infetto, è mediamente inferiore all’ 1%; in alcuni casi però le caratteristiche dell’infortunio e la contagiosità della fonte rendono il rischio significativamente più alto. Tale apparentemente bassa probabilità di trasmissione di queste infezioni per una singola esposizione non deve far dimenticare che nella pratica medica le occasioni di esposizione al rischio biologico sono innumerevoli.  Sulla base dei dati disponibili si stima che le sole esposizioni percutanee negli operatori sanitari ammontino, nel nostro Paese ad almeno 100.000 eventi all’anno, dei quali solo la metà viene regolarmente segnalata.
Quante di queste sono donne?  Come è noto, tra i lavoratori del comparto sanità le donne sono complessivamente la larga maggioranza, in particolare tra gli infermieri. Poiché la larga maggioranza di atti sanitari potenzialmente a rischio è eseguita da infermieri, proprio loro risultano in numeri assoluti essere i più esposti. Dalle nostre consolidate statistiche risulta che gli operatori sanitari vittime di un’esposizione accidentale di tipo percutaneo (puntura o ferita) sono  per oltre i due terzi infermieri e conseguentemente in gran parte donne. Non c’è alcuna correlazione di genere invece per quanto riguarda la possibilità di contagiarsi. È quasi superfluo sottolineare l’impatto che può avere un’esposizione a rischio di infezione  in una donna in gravidanza o in pianificazione della gravidanza.    Come si fa a raccogliere questo tipo di dati? In realtà la segnalazione degli infortuni e la loro registrazione ed analisi sono obblighi previsti dal Decreto Legislativo 81 del 2008, il cosiddetto Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro. Molto spesso però il sistema di registrazione è generico e formale ma  non raccoglie informazioni tali da permettere un’ analisi esaustiva. Diversi studi hanno inoltre dimostrato che circa la metà delle esposizioni non viene segnalata per molteplici motivi tra i quali sottolinierei una errata percezione del rischio ed un  percorso di segnalazione troppo complicato e burocratizzato. Il cuore del SIROH è rappresentato dallo studio sull’individuazione e valutazione dei determinanti degli incidenti professionali negli operatori sanitari, attraverso la raccolta standardizzata di dati dettagliati su tutte le esposizioni occupazionali potenzialmente a rischio biologico che si verificano nell’espletamento dell’attività assistenziale. Le schede o il software per la segnalazione includono tra l’altro dati relativi all’infettività del paziente fonte, all’operatore esposto, alla modalità di infortunio, al tipo di dispositivo coinvolto, e ai controlli post-esposizione. Gli ospedali partecipanti al SIROH dispongono pertanto di informazioni approfondite sugli infortuni e soprattutto possibilità di confronto all’interno della rete di ricerca.   Quando ci sarà una nuova indagine epidemiologica e dunque nuovi dati a disposizione? Il SIROH è tuttora attivo e presenta report almeno annuali. La partecipazione è aperta ma condizionata ad un impegno costruttivo per supportare il sistema di sorveglianza. Negli ultimi anni la sorveglianza si è in particolare concentrata sulla valutazione di efficacia dei dispositivi incorporanti meccanismi di sicurezza per la prevenzione degli infortuni con ago evidenziando, negli ospedali che hanno iniziato ad utilizzarli, la possibilità di ridurre del 75%-80%  i tassi di esposizione specifici. La partecipazione al SIROH è aperta ad altre strutture,  purché esista l’impegno a rispettare il protocollo di registrazione e sorveglianza previsto.    Quali sono le procedure più a rischio? Statisticamente l’esecuzione dei prelievi di sangue, dei posizionamenti di cateteri periferici intra-venosi, delle somministrazioni di farmaci per via endovenosa, parenterale e sottocutanea rappresentano le procedure per le quali è stata osservata la più elevata incidenza di infortuni. Molto frequenti e molto spesso non segnalati sono anche gli infortuni che avvengono durante gli interventi chirurgici. Gli aghi a farfalla e i cateteri vascolari sono i dispositivi più frequentemente implicati come causa di infortunio. Trattando inoltre di aghi cavi utilizzati in vena o arteria gli infortuni che ne derivano sono a maggior rischio di infezione in caso di paziente fonte infetto per la maggiore quantità di sangue inoculato. Casi di infezione sono però stati segnalati anche per ferite con taglienti solidi quali lancette per i prelievi capillari o aghi da sutura e bisturi in chirurgia, e, più raramente,  per iniezione sottocutanea o intramuscolare. Di grande importanza è la contagiosità del paziente fonte, espressa dai valori di viremia.   Come si può affrontare il problema dal punto di vista sanitario? Esistono precise indicazionisugli interventi da adottare in seguito ad un infortunio a rischio biologico. La prima misura immediata in caso di puntura è quella di favorire delicatamente il sanguinamento dalla ferita, lavare con acqua e sapone e disinfettare la sede di lesione. Al più presto poi l’infortunato dovrà segnalare l’infortunio e accedere al più presto al servizio individuato per la gestione di questi casi.  Innanzi tutto è necessario stimare  il rischio, cioè analizzare nel dettaglio le modalità di esposizione (tipo di ago, profondità della ferita, presenza di  sangue). Allo stesso tempo è necessario confermare od escludere la presenza di agenti patogeni trasmissibili per via ematica: il paziente fonte deve essere informato e deve essere chiesto il consenso all’esecuzione degli esami necessari quali i test per HIV e HCV. I risultati degli esami del paziente fonte,da acquisire al più presto, e la sua storia clinico-epidemiologica unitamente alla valutazione del rischio per lo specifico infortunio  guideranno il comportamento successivo. In caso di paziente portatore di infezioni trasmissibili con il sangue, dovrà essere definito il programma di controlli clinici e di laboratorio da effettuare nei mesi successivi l’incidente, e valutare la necessità di una eventuale profilassi post-esposizione da somministrare all’operatore infortunato. L’operatore dovrà essere informato circa le precauzioni alle quali dovrà attenersi per la durata della sorveglianza, da 3 a 12 mesi, quali ad esempio la necessità di proteggere i rapporti sessuali o di rimandare un progetto di maternità, non donare sangue. In alcuni casi può essere necessario rimuovere temporaneamente l’operatore da alcuni dei sui incarichi consueti. È talora inoltre opportuno supportare l’operatore anche dal punto di vista psicologico: i mesi di incertezza che spesso lo attendono e il timore che la vicenda possa concludersi con una malattia cronica grave possono, infatti, suscitare un’ansia profonda. Un’analoga gestione dovrà essere messa in atto nel caso, piuttosto frequente, in cui  i dati del paziente fonte non siano disponibili. È  importante sottolineare che tutta la gestione di un infortunio a rischio biologico sopra  descritta comporta un’ organizzazione ben pianificata e collaudata e risorse destinate.

Il ruolo di Internet nell’informazione sulla sicurezza dei farmaci

Tra le informazioni sulla salute reperite su Internet da pazienti e consumatori, quelle che riguardano la sicurezza dei farmaci hanno un’importanza particolare. Ricercatori britannici e statunitensi riuniti nel Blackstone Group hanno analizzato i messaggi disponibili online sull’argomento nel biennio 2011-2012 pubblicati in occasione di comunicati dell’FDA sulla sicurezza di 22 nuovi farmaci.
La fonte dominante è Wikipedia, il motore più consultato è Google.
Per quanto riguarda Wikipedia, è stata esaminata con particolare attenzione una finestra temporale che si collocava fra 2 mesi prima e 2 mesi dopo ogni comunicato FDA, utilizzando come periodo di controllo quello immediatamente precedente (da 60 giorni a 10 giorni prima della finestra temporale di interesse). I nuovi farmaci hanno determinato 13 milioni di ricerche su Google (con un aumento dell’82% durante la finestra temporale sincrona ai comunicati FDA) e 5 milioni di consultazioni di pagine di Wikipedia (con un aumento del 175% nello stesso periodo).
Circa la qualità dei contenuti, gli aggiornamenti erano sufficientemente tempestivi (il 42% nelle 2 settimane successive ai comunicati, il 58% in caso di farmaci utilizzati per malattie ad alta prevalenza) ma rimanevano poi immodificati nell’anno successivo.
I risultati di questa indagine hanno ricadute rilevanti: l’accesso diretto a informazioni sulla sicurezza dei farmaci da parte dei pazienti può migliorare il loro grado di conoscenza e la capacità di scegliere solo se la qualità delle informazioni è affidabile. Rappresentano la fonte ottimale il sito dell’agenzia regolatoria statunitense e il suo portale Med-Watch dedicato alla sicurezza dei farmaci. Dal 2010 sono state avviate iniziative di comunicazione tramite Twitter raccogliendo a oggi 140.000 follower per l’FDA e 20.000 follower per MedWatch.
Potrebbe essere interessante la redazione di pagine di Wikipedia da parte della stessa FDA. Il contributo degli operatori sanitari a costruire materiali online è auspicabile, ma per ora marginale.
In conclusione, le opportunità offerte dai nuovi mezzi di comunicazione sono potenzialmente utili ma per ora poco esplorate e quindi sottoutilizzate per quanto riguarda la comunicazione sulla sicurezza dei farmaci.
Hwang T, Bourgeois FT, et al. Drug safety in the digital age. N Engl J Med 2014;370:26.
Fonte Farmacovigilanza.eu

martedì 25 marzo 2014

Cambia la disciplina di stupefacenti e sostanze psicotrope

Fonte IPASVI 17/03/2014 - Un decreto legge del Governo modifica inoltre la regolamentazione della prevenzione, cura e riabilitazione delle relative dipendenze. Nel provvedimento anche un intervento sulle procedure per l’impiego off label dei farmaci.

La recente pronuncia della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittime le modifiche introdotte in sede di conversione al decreto 272/2005 (la cosiddetta Fini-Giovanardi sulle droghe) perchè trattano «fattispecie diverse per materia e per finalità», con una «evidente estraneità» rispetto ai contenuti del provvedimento originario, ha di fatto obbligato il Governo a intervenire urgentemente sulla materia.
Il Consiglio dei ministri di venerdì 14 marzo ha così approvato un decreto legge in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.
La declaratoria di illegittimità costituzionale del 12 febbraio scorso, precisa una nota del Governo, ha determinato l’effetto di escludere dalla vigilanza del ministero della Salute tutte le sostanze sottoposte a controllo in attuazione di convenzioni internazionali e le sostanze psicoattive introdotte sulla base delle nuove acquisizioni scientifiche negli ultimi anni. Di conseguenza si era creato un vuoto normativo che il decreto (il cui testo non è ancora disponibile, ndr) intende colmare per assicurare la tutela della salute dei pazienti e la certezza delle regole per tutti gli operatori sanitari coinvolti, garantendo, inoltre, «la continuità e la funzionalità dell’assetto autorizzativo, distributivo e di dispensazione di medicinali consolidato sulla base della disciplina dichiarata illegittima, in un quadro di certezza giuridica rinnovato». Le disposizioni penali e la configurazione dei reati vengono tuttavia rinviate a un approfondimento in sede interministeriale e parlamentare.
Il decreto prevede inoltre un intervento sui farmaci da utilizzare off label, con l’intenzione di semplificare le procedure per l’utilizzazione a carico del Ssn di farmaci meno costosi che però abbiano un’efficacia terapeutica equivalente a quella di altri farmaci, più costosi, per cui vi è l’autorizzazione dell’Aifa. Con questa procedura potranno essere avviate anche d’ufficio le sperimentazioni su questi farmaci «ogni qualvolta – spiega la nota di Palazzo Chigi - sussista un interesse pubblico al loro utilizzo. Ciò a tutela della salute dei pazienti e, nel contempo, della finanza pubblica».

(n.d.a) Decreto-legge 20 marzo 2014 , n. 36

sabato 22 febbraio 2014

Infezioni correlate all’assistenza: Studio europeo di prevalenza delle infezioni e dell’uso di antibiotici

L’European Center for Disease Control (Ecdc) ha pubblicato i risultati di uno studio di prevalenza europeo mirato a stimare la frequenza di infezioni correlate all’assistenza (Ica) e del ricorso agli antibiotici negli ospedali per acuti. Hanno partecipato allo studio 29 Paesi e 947 ospedali, per un totale di 231.459 pazienti. Un punto qualificante dell’indagine è che tutti i Paesi hanno concordato di utilizzare per la rilevazione un unico protocollo di studio e che i rilevatori sono stati addestrati utilizzando un pacchetto formativo comune. Ciò rende possibile il confronto, anche se permangono differenze che possono avere influenza su quanto rilevato: non tutti i Paesi sono stati in grado di coinvolgere un numero di ospedali corrispondente a quanto indicato dall’Ecdc (e in quasi tutti i Paesi gli ospedali sono stati selezionati in modo non casuale); il protocollo di studio, i criteri di definizione di caso e gli strumenti di rilevazione sono stati tradotti in molte lingue e ciò può aver comportato interpretazioni non sempre univoche; i metodi diagnostici e le modalità di organizzazione degli ospedali possono essere molto diversi e queste differenze possono non essere state catturate sufficientemente dalle informazioni rilevate. Anche se è opportuno tenere presente queste giuste cautele nella lettura del quadro di insieme, i risultati dello studio consentono di tratteggiare un quadro comparativo tra Italia e gli altri Paesi europei: il quadro che emerge presenta alcune luci, ma anche molte ombre. In Italia, lo studio è stato condotto nella seconda finestra temporale proposta dall’Ecdc, nel periodo settembre-ottobre 2011. Hanno partecipato 49 ospedali, selezionati in modo proporzionale rispetto alla distribuzione degli ospedali per acuti per Regione e per dimensioni. Solo due Regioni (Molise e Calabria) non sono riuscite a partecipare allo studio. I dati rilevati nel nostro Paese confermano, date le dimensioni del rischio, l’assoluta centralità del problema “infezioni correlate all’assistenza” per la sicurezza dei pazienti: •su 100 pazienti ricoverati in un giorno, 6,3 presentavano una infezione correlata all’assistenza (infezione comparsa dopo 48 ore dal ricovero in ospedale o presente al ricovero in un paziente trasferito da un altro ospedale per acuti) •questo rischio arriva fino al 14,8% in terapia intensiva, a 13% nei pazienti con patologia “rapidamente fatale” secondo McCabe, a 30,9% nei pazienti intubati, a 21,4% nei pazienti portatori di catetere venoso centrale, a 13,2% nei pazienti portatori di catetere urinario •su 100 infezioni, quelle più frequentemente riportate sono quelle respiratorie (24,1%), urinarie (20,8%), le infezioni del sito chirurgico (16,2%) le batteriemie (15,8%). Per quanto concerne la prevalenza di infezioni, il confronto tra l’Italia e l’Europa colloca il nostro Paese in una posizione in linea con la media europea: 6,6% in Italia vs 6,0% in Europa (da 2,3% a 10,8% nei diversi Paesi), anche se la frequenza di alcune infezioni (ad esempio le infezioni correlate a catetere intravascolare) è più elevata rispetto alla media europea. Tuttavia, il problema in Italia è reso più drammatico dalla diffusione di microrganismi multiresistenti: nello studio italiano il 34% di Escherichia coli e il 65,2% di Klebsiella pneumoniae è resistente alle cefalosporine di III generazione; il 48,9% di Klebsiella pneumoniae e il 39,1% di Pseudomonas aeruginosa è resistente ai carbapenemi; il 58,6% di Staphylococcus aureus è resistente alla meticillina. Ciò è attribuibile anche all’elevato ricorso agli antibiotici, tema particolarmente critico in Italia: •la prevalenza di pazienti con almeno un trattamento antibiotico è 44% in Italia rispetto alla media europea del 35% (da 21,4% a 54,7% nei diversi paesi). Ad eccezione di Portogallo, Spagna, Grecia, Bulgaria e Finlandia, in tutti gli altri Paesi europei la prevalenza di utilizzo è più contenuta rispetto all’Italia, con Francia, Germania e Belgio che riportano una prevalenza di pazienti trattati inferiore a 30%. Queste differenze non sono spiegate dal mix di pazienti studiati •la prevalenza di pazienti in chemioprofilassi chirurgica per più di 1 giorno è più elevata rispetto a molti altri Paesi europei; quella di pazienti in profilassi medica è in assoluto la più elevata in Europa, come anche elevata è quella di pazienti per i quali le indicazioni al trattamento antibiotico non sono documentate in cartella. È quindi necessario e urgente avviare programmi di governo dell’uso responsabile di antibiotici utili a promuovere l’uso solo ove indicato e con modalità (durata, scelta della molecola, dosaggio) appropriate. Un’altra criticità che emerge dallo studio è relativa alla igiene delle mani. In Italia è stata condotta con successo alcuni anni fa una campagna mirata a promuovere l’igiene delle mani, basata sulle indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, che ha coinvolto molte Regioni e ospedali. A distanza di alcuni anni, questo studio documenta come l’igiene delle mani non sia divenuta una pratica corrente in tutti gli ospedali italiani: nei 49 ospedali partecipanti allo studio, il consumo di prodotti idroalcolici per l’igiene delle mani è inferiore a 10 litri per 1000 giornate di degenza (la categoria più bassa in Europa), contro una media europea di 18,7 litri/1000 e di punte >40 nei Paesi scandinavi. Questa rappresenta un’altra criticità sulla quale è opportuno concentrare l’attenzione: sono infatti disponibili sufficienti esperienze, strumenti validati e indicazioni per avviare interventi efficaci. In conclusione, lo studio europeo fornisce indicazioni chiave per orientare meglio gli interventi: ci sono ancora molti passi in avanti da fare per allineare il nostro Paese agli altri Paesi europei, quali la Francia e la Gran Bretagna, che in questi anni hanno raggiunto importanti traguardi in questo ambito. Ma per realizzare tutto ciò è necessario un impegno a tutti i livelli ed è soprattutto necessario aumentare la percezione della rilevanza di questo fenomeno. I dati dello studio europeo possono essere molto utili a questo scopo.
Risorse utili •il documento completo “Point prevalence survey of healthcare-associated infections and antimicrobial use in European acute care hospitals 2011-2012” (pdf 20 Mb)
Maria Luisa Moro
- Responsabile Area rischio infettivo. Agenzia sanitaria e sociale Regione Emilia-Romagna.National Contact Point for HAI Surveillance for Ecdc
;
Studio di prevalenza europeo su infezioni correlate all’assistenza e uso di antibiotici negli ospedali per acuti. Rapporto nazionale

giovedì 9 gennaio 2014